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Corte dei Conti Basilicata: La valutazione delle politiche pubbliche. Un confronto tra Istituzioni". Intervento del Presidente Nicola Valluzzi

Il Presidente della Provincia è intervenuto in occasione del Convegno organizzato dalla Corte dei Conti Basilicata “LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE.UN CONFRONTO TRA ISTITUZIONI”.
Di seguito il testo integrale dell'intervento.

 

 

“LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE.

UN CONFRONTO TRA ISTITUZIONI”

La programmazione degli Enti Locali nel contesto

delle riforme istituzionali più recenti

 

Potenza, 20 settembre 2018

 

La valutazione delle politiche pubbliche in un sistema di poteri che è caratterizzato dal pluralismo istituzionale: è questo un tema centrale per le democrazie contemporanee. Ed è il tema di questo convegno.

Le democrazie contemporanee si basano sulla centralità delle Costituzioni nelle quali si trovano le norme fondamentali sui diritti e sui doveri dei cittadini e sull’organizzazione dei pubblici poteri nell’ambito dell’ordinamento repubblicano che si articola tra Stato, Regioni e Autonomie locali.

Alla valutazione delle politiche pubbliche sono chiamate le singole istituzioni costitutive della Repubblica nella programmazione e valutazione delle loro scelte. Ma è chiamata a fare la propria parte anche l’intera comunità nazionale attraverso le attività degli organi di controllo, della comunità scientifica, dei mezzi di informazione. Attraverso la partecipazione dei cittadini alla gestione della “res pubblica” nelle forme della democrazia diretta e della democrazia rappresentativa.

Come è noto, nell’ordinamento repubblicano, lo Stato e le Regioni hanno le competenze legislative previste dall’articolo 117 della Costituzione. Hanno pertanto una funzione di indirizzo politico generale in grado di influenzare le attività di tutti i cittadini e delle istituzioni dei loro territori di riferimento. La valutazione delle politiche pubbliche statali e regionali deve anche affrontare il tema “macro” dell’impatto della regolazione legislativa sulla vita della comunità, con le possibili sovrapposizioni e contraddizioni tra legislazione statale e quella regionale.

Un esempio di politica pubblica a livello “macro”, che oggi dovrebbe essere valutata con attenzione da tutta la comunità, può essere rappresentato dalla scelta compiuta nella scorsa legislatura di riordino complessivo dell’ordinamento locale attraverso la legge 56/14 che ha trasformato le Province in enti di secondo livello, ha istituito le Città metropolitane, ha obbligato i Comuni alla gestione associata delle loro funzioni attraverso fusioni e le Unioni di Comuni.

Questa legge è stata scritta, come è noto, “in attesa di” una riforma della Costituzione che avrebbe dovuto portare al superamento delle Province come enti di natura costituzionale. Riforma che però non ha ottenuto il consenso dei cittadini nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

Nell’iter di approvazione della legge oltre il 90 per cento degli esperti e dei docenti, chiamati nelle audizioni presso le Commissioni competenti di Camera e Senato, avevano suggerito che, vista la valenza costituzionale delle Province, sarebbe stato più opportuno procedere prima alla riforma della Costituzione e poi a una legge di riordino complessivo degli enti locali.

Il Parlamento però ha preferito agire diversamente. Senza tener conto dei consigli degli esperti, ha approvato una riforma degli enti locali che ha messo in moto scelte finanziarie che hanno fortemente messo in crisi gli equilibri di bilancio delle Province e la gestione delle funzioni provinciali, come la stessa Corte dei Conti ha ben evidenziato più volte. Una riforma che ha imposto alle Regioni una revisione della loro legislazione in una prospettiva di superamento delle Province. Ipotesi vagheggiata che oggi - dopo il referendum costituzionale – non trova più riscontro con la realtà.

Queste decisioni legislative dello Stato hanno fortemente condizionato - a livello “micro” – le singole istituzioni provinciali che sono state sottoposte, in questi anni, a uno stress continuo dal punto di vista funzionale, finanziario e organizzativo. Un logoramento che ha condizionato fortemente il normale funzionamento dei servizi e il buon andamento delle attività amministrative.

Cosa determina la Legge 56/14?

Trasforma le Province in Enti di secondo livello, superando la previsione costituzionale dei livelli differenziati del Governo Locale - Comuni, Province, Regione - favorendo la costruzione di un sistema integrato di governo locale principalmente tra Comuni e Province.

Gli Enti di area vasta (come definiti dalla norma) diventano diretta emanazione dei Comuni.

Il Presidente è eletto fra i Sindaci, mentre il Consiglio viene eletto fra i Sindaci e i Consiglieri dei Comuni della Provincia.

È istituita l’Assemblea dei Sindaci, organo consultivo e di indirizzo strategico/pianificatorio. Ma, nella pratica, organismo di difficile convocazione e organizzazione.

Le nuove Province hanno minori competenze esplicitamente circoscritte nelle cosiddette funzioni fondamentali, (scuole, strade, ambiente). Possono però svolgere altre funzioni delegate delle Regioni (in Basilicata, trasporto e cultura) i cui costi sono a totale carico del soggetto delegante.

Inoltre, nelle intenzioni del legislatore, la Provincia poteva e può ancora diventare un Ente di assistenza ai Comuni, soprattutto quelli più piccoli, potendo istituire stazioni uniche appaltanti per i lavori pubblici e i servizi in ambito provinciale, o la stazione unica concorsuale per la selezione del personale comunale, oltre a poter svolgere funzioni centralizzate in materia di anticorruzione, trasparenza e avvocatura per i municipi che intendano avvalersi di un servizio associato.

Ma forse il legislatore avrebbe potuto meglio utilizzare le Province per semplificare la miriade di Consorzi, Agenzie e Autorità d’ambito ottimali per la gestione dei servizi pubblici. Organismi che invece, proprio in questi ultimi anni, sono proliferati a dismisura.

Sul piano istituzionale, spariscono le Giunte; il Presidente diventa “uomo solo al comando”; i Consigli - privi di agibilità nell’espletamento del mandato - poco possono incidere nelle azioni amministrative e di rappresentanza dei territori.

Spariscono indennità, rimborsi e spese di rappresentanza per Presidente e Consiglieri.

La funzione istituzionale diventa così impegno volontaristico.

Ma è sul piano organizzativo e finanziario che si realizza il vero disastro della riforma dell’ordinamento locale che porta la firma dell’allora ministro Graziano Delrio.

La Legge 190/2014 impone sul piano dell’organizzazione amministrativa il dimezzamento della dotazione organica in servizio nelle Province all’entrata in vigore della legge (8 aprile 2014).

Si tratta di una delle più grandi operazioni di mobilità, prepensionamento e blocco del turn-over della Pubblica Amministrazione che ha coinvolto ventimila dipendenti in Italia, neutralizzando in maniera decisiva la capacità amministrativa delle Province.

Sul piano finanziario, dopo aver di fatto azzerato il contributo dello Stato con il Decreto legge 95/2013, con la Legge 190/14 si impone alle Province un prelievo sulle proprie entrate (le tasse degli automobilisti) di un miliardo di euro nel 2015, due miliardi nel 2016, tre miliardi nel 2017. Si è imposto cioè un prelievo superiore alle entrate proprie.

Le Province sono state così costrette a una gestione stralcio annuale delle loro attività. La programmazione pluriennale dei bilanci, che è il presupposto di una sana gestione amministrativa e contabile, è stata messa da parte perché la prospettiva indicata dal Governo e dal Parlamento era quella del superamento delle Province.

Per chiudere i bilanci - solo annuali - in un equilibrio stentato, le Province sono state costrette, in questi anni, a utilizzare strumenti straordinari di carattere finanziario (come l’applicazione degli avanzi e la rinegoziazione dei mutui con la Cassa Depositi e Prestiti) e a richiedere in continuazione interventi di urgenza attraverso decreti-legge in grado di garantire lo stanziamento di risorse aggiuntive.

Una parziale inversione di tendenza si è registrata con l’assegnazione di specifici fondi alle Province nella legge di bilancio 2018 che ha ripristinato la programmazione pluriennale come condizione propedeutica e necessaria per l’esercizio ordinato delle funzioni fondamentali delle Province stesse.

Ma, a tutt’oggi, ancora ventuno delle settantasei Province delle Regioni a statuto ordinario si trovano in una difficoltà strutturale nella gestione di bilancio: due sono in dissesto, dodici in pre-dissesto, altre sette ancora non riescono ad approvare il bilancio in equilibrio nel 2018.

Per rendere più esplicito l’esito del complesso processo di revisione organizzativa e finanziaria delle Province, imposto dalla Legge 190/2014, basta osservare nel concreto come era la Provincia di Potenza nel 2014 e com’è diventata oggi, nel 2018, dopo la rideterminazione della dotazione organica in diminuzione del 50 per cento e dopo i tagli e i prelievi imposti sulle entrate provinciali.

Alla data dell’8 aprile 2014 l’organico della Provincia contava su 499 unità alle quali ne vanno aggiunte altre 101 relative al personale attestato alla formazione professionale. Complessivamente, poco più di quattro anni fa, era in servizio dunque 600 addetti.

Da quel momento è cominciata la falcidia.

Fra il 2014 e settembre 2018 sono cessati per pensionamento ordinario e pre-pensionamenti (pre-Fornero) 139 dipendenti.

Altre 252 unità sono state trasferite per mobilità o per passaggio di deleghe ad altre amministrazioni o agenzie.

Così il complessivo personale in servizio presso la Provincia di Potenza, al primo settembre 2018, è arrivato a contare 256 unità (più 21 distaccati dalla Regione per il trasporto pubblico locale (Tpl), oltre agli addetti ai Musei, alla  Biblioteca e alla Pinacoteca).

Sul piano finanziario la storia di questi difficili cinquantatré mesi è ancora più chiara nel motivare il fallimento del processo riformatore approvato.

La Provincia di Potenza è in riequilibrio finanziario ai sensi dell’articolo 243 bis del 267/2000 dal 2013 e fino al 2020 per uno squilibrio di 3,341 milioni di euro, determinato dalla somma dei tagli imposti dalle leggi di Spending Review succedutesi tra il 2011 e il 2013 (Decreto Salva Italia e Dl. 95).

In un quadriennio, cioè tra il rendiconto 2014 e il bilancio di previsione 2018, la somma dei tagli del trasferimento dello Stato (fondo sperimentale di riequilibrio 16.688.133,31 euro) e il prelievo sulle proprie entrate imposto dalla legge 190/2014 (11.773.099,82 euro) ha determinato una riduzione delle entrate pari a meno 28,461 milioni di euro.  

Le spese correnti sono passate da 95,5 milioni di euro del rendiconto 2014 a 65,164 milioni di euro della previsione 2018. Il conto parla chiaro: meno 30,396 milioni di euro.

Sul fronte della spesa per beni e servizi (manutenzioni essenzialmente) siamo passati dagli oltre 57 milioni di euro del rendiconto 2014 ai 29,681 milioni di euro della previsione 2018: meno 27,346 milioni di euro in 4 anni.

La spesa per il personale si è ridotta di oltre dieci milioni di euro: 10,365 milioni di euro per la precisione.

Tra il 2014 e il 2017 sono stati azzerati tutti i fitti passivi. Sono state cioè dismesse le locazioni di immobili privati destinati a scuole e a direzioni scolastiche territoriali. E, per effetto della costruzione di nuovi edifici e dell’accorpamento degli istituti negli immobili disponibili di proprietà pubblica, abbiamo ridotto la spesa per fitti passivi di 3,8 milioni di euro e di una corrispondente cifra per la manutenzione e la gestione.

Non credo ci siano molte esperienze di Amministrazioni Pubbliche che sono riuscite a sostenere azioni di efficientamento paragonabili.

L’impresa straordinaria sta nel fatto che, nonostante il rispetto del piano di riequilibrio, la Provincia di Potenza è restata in piedi senza che mai, anche per un solo mese o un solo giorno, i dipendenti siano rimasti senza lo stipendio. O abbiano dovuto subire ritardi nel ricevere le loro retribuzioni. Situazione che non tutte le amministrazioni, purtroppo, sono riuscite ad assicurare.   Quest’anno, per garantire e approvare l’equilibrio di parte corrente nel bilancio di previsione, la Regione Basilicata ha assegnato cinque milioni di euro a sostegno delle funzioni fondamentali e non fondamentali delegate alle Province. Lo Stato ha assegnato circa 2,7 milioni di euro per il pre-dissesto in corso. E la Provincia ha rinegoziato i mutui.

Il risultato dell’azione legislativa condotta dal vecchio Governo si può facilmente tradurre nel crollo degli investimenti per le manutenzioni straordinarie e ordinarie su strade e scuole, oltre alla confusione amministrativa sulla gestione delle funzioni delegate e al caos nel governo dei servizi per l’impiego in quasi tutto il Paese.

Il Sose (la società partecipata dal Ministero dell’Economia e dalla Banca d’Italia che elabora studi di settore) ha certificato, tra il 2013 e il 2017, la riduzione del 60 per cento negli investimenti delle Province italiane. Poi accade la tragedia di Genova e immediatamente, come di consueto in Italia, scatta l’allarme del giorno dopo. In questi anni di narrazione devastante l’unica istituzione della Repubblica che ha sostenuto con atti formali l’irragionevolezza dei tagli è stata la Corte dei Conti, ma nulla ha potuto contro la furia di Governo e Parlamento.

A conclusione di questa difficile e complessa esperienza amministrativa posso segnalare le tre condizioni minime da rispettare nella valutazione dell’efficacia di un processo riformatore sul governo dei servizi locali. L’impatto cioè delle politiche pubbliche nella vita quotidiana di cittadini e imprese.

Primo: una riforma deve migliorare il processo di partecipazione democratica dei cittadini e rafforzarne il controllo sulla gestione di funzioni e servizi pubblici. Nel caso della Legge 56/2014, i cittadini non concorrono a eleggere Presidente e Consiglio, né hanno strumenti diretti per esercitare il controllo sull’azione di governo relativa alla gestione delle funzioni pubbliche assegnate alle Province.

Secondo: una buona riforma deve incidere positivamente sulle funzioni oggetto di intervento e deve quindi migliorare la qualità dei servizi offerti ai cittadini. Nel caso della Legge 56/2014, la condizione di 131.000 chilometri di strade provinciali e di 5100 edifici scolastici gestiti dalle Province non è affatto migliorata. Anzi! Dopo 157 anni, nella diffusa criticità delle strade provinciali, dal Piemonte alla Sicilia, si è realizzata l’Unità d’Italia. L’unità del peggio.

Terzo: una buona riforma, non solo dovrebbe migliorare la qualità dei servizi ma assicurare un risparmio ai cittadini. E su questo tema la Legge 56/2014 è stata una vera e propria beffa. I cittadini/automobilisti hanno continuato a pagare le stesse tasse, IPT e RCA, in alcuni casi aumentate per via dei dissesti e pre-dissesti delle Province, ma quella tassazione non è stata impiegata per manutenere le strade. È stata invece prelevata dallo Stato, in percentuale tra il 60 e il 70 per cento, e impegnata per altro (per esempio per distribuire i famosi 80 euro).

Questo accade quando “la dissimulazione della realtà diventa sostanza dell’agire politico e la propaganda unico elemento di elaborazione programmatica”.

Pare che proprio a partire da questa conclusione il Governo e il Parlamento, nella conversione del decreto-legge  Mille Proroghe n. 91/18, hanno riconosciuto la necessità di istituire un tavolo tecnico politico finalizzato alla redazione di linee guida per l’avvio di un percorso di revisione organica della disciplina in materia di ordinamento delle Province e Città metropolitane. L’obiettivo evidente è quello di superare le gravi lacune e le drammatiche incongruenze del processo di riforma del governo locale avviato nella scorsa legislatura.

Per rispetto delle istituzioni, per rispetto dei cittadini e dei diritti che a essi deve un Paese civile e democratico, è necessario e urgente riconoscere gli svarioni sin qui commessi. Ed è necessario e urgente, nell’interesse generale e del sistema Paese, realizzare un cambio di rotta.

Quando, come in questo caso, si commettono errori evidenti, quando la creatività al potere prende abbagli dalle conseguenze nefaste per il bene comune, è opportuno ricordarci che la realtà è sempre più astuta e ci presenta il conto dei danni prodotti. E pretende che, al più presto, si ponga rimedio ai guasti provocati. Si recuperi saggezza ritrovando lucidità, misura e senso delle cose.

 

 

 

 

Amministratore di voli...

di terre e di strade